Immanuel Kant è il filosofo più influente del XVIII secolo e uno
dei pensatori più importanti della storia della filosofia. La sua
filosofia si basa sul criticismo, cioè su un'analisi dei limiti e delle possibilità della ragione umana
in ambito gnoseologico, morale ed estetico. Kant cerca di
conciliare razionalismo ed empirismo, mostrando come la conoscenza
non sia né totalmente innata (come sostenevano i razionalisti) né
completamente derivata dall’esperienza (come credevano gli
empiristi).
Kant sviluppa il suo sistema filosofico attraverso tre opere
fondamentali, le Critiche, in cui esplora i limiti e le
possibilità della ragione umana nei tre ambiti:
- Critica della ragione pura (1781): affronta il problema della conoscenza (ambito gnoseologico), cercando di rispondere alla domanda "che cosa posso conoscere?". Kant sostiene che la conoscenza è possibile solo se esistono sia intuizioni sensibili sia concetti razionali. La mente umana organizza l’esperienza attraverso categorie innate, che strutturano il modo in cui percepiamo il mondo.
- Critica della ragione pratica (1788): si occupa della morale e risponde alla domanda "che cosa devo fare?". Kant elabora la sua etica del dovere basata sul categorico: un principio morale universale che vale per tutti gli esseri razionali.
- Critica del giudizio (1790): analizza l’ambito estetico e teleologico, rispondendo alla domanda "che cosa posso sperare?". Qui Kant esplora il giudizio estetico e il concetto di finalità nella natura.
- Fase precritica: fino al 1770, influenzata dall’empirismo e dal razionalismo.
- Fase critica: a partire dalla sua tesi Dissertazione sulle forme del mondo sensibile ed intelligibile del 1770, in cui Kant introduce la distinzione tra mondo sensibile e mondo intelligibile, anticipando il suo sistema critico.
CRITICA DELLA RAGION PURA
La Critica della Ragion Pura (1781, seconda edizione 1787) è l'opera fondamentale di Immanuel Kant e uno dei testi più influenti della filosofia moderna. In essa, Kant si propone di indagare i limiti e le possibilità della conoscenza umana, cercando di risolvere il conflitto tra razionalismo ed empirismo.Kant parte dalla domanda centrale: cosa possiamo conoscere? Per rispondere, distingue tra conoscenza a priori (indipendente dall’esperienza) e conoscenza a posteriori (derivante dall’esperienza). Egli introduce inoltre la distinzione tra fenomeni (ciò che possiamo percepire) e noumeno (la realtà in sé, che rimane inconoscibile).
La sua teoria trascendentale afferma che la nostra mente non è una semplice "tabula rasa", ma possiede strutture innate – le categorie dell’intelletto e le forme pure della sensibilità (spazio e tempo) – che organizzano l’esperienza. In questo modo, Kant dimostra che la conoscenza scientifica è possibile, ma solo entro i limiti dell’esperienza sensibile. Con questa critica, Kant supera sia l'empirismo, che riduce la conoscenza all’esperienza sensibile, sia il razionalismo dogmatico, che pretende di conoscere la realtà indipendentemente dall’esperienza. Il risultato è una rivoluzione nel pensiero filosofico, paragonabile alla rivoluzione copernicana in astronomia: non è la realtà esterna a determinare la nostra conoscenza, ma è la nostra mente a strutturarla attivamente.
Kant organizza la sua opera in modo molto rigoroso: Due prefazioni (una sola non bastava per spiegare tutto il progetto critico), un’introduzione, che prepara il lettore alla distinzione tra conoscenza a priori e a posteriori, e tre parti principali:
- Estetica Trascendentale → Studia la sensazione e le forme pure dell’intuizione (spazio e tempo).
- Analitica Trascendentale → Studia l’intelletto, le categorie e il modo in cui organizza i dati sensibili.
- Dialettica Trascendentale → Studia la ragione, il suo uso eccessivo (illusioni trascendentali) e le tre idee della ragione (anima, mondo, Dio).
Prefazione: Deduzione Trascendentale
La Deduzione Trascendentale è uno dei passaggi più complessi della Critica della Ragion Pura di Kant, tanto che nella seconda edizione dell’opera (1787) Kant la rielabora per chiarire meglio il suo ragionamento. Il suo obiettivo è quello di giustificare come i concetti puri dell’intelletto (le categorie) possano applicarsi all’esperienza, senza dover ricorrere alla metafisica dogmatica dei razionalisti o all’empirismo scettico.Kant distingue tra intelletto e ragione, sostenendo che l’intelletto sia la facoltà che fornisce le categorie, ovvero i concetti puri necessari per organizzare l’esperienza (come causalità, sostanza, unità). La ragione, invece, tende a oltrepassare i limiti dell’esperienza e produce tre idee regolative: l’anima (l’idea dell’unità assoluta della coscienza), il mondo (l’idea dell’unità assoluta della totalità delle esperienze) e Dio (l’idea dell’unità assoluta di tutte le realtà possibili). Queste idee non hanno un fondamento nell’esperienza, ma sono il risultato inevitabile della ragione che cerca sempre cause ultime. Kant non le considera vere conoscenze, ma illusioni trascendentali: la metafisica tradizionale ha sempre trattato queste idee come realtà oggettive, ma in realtà esse non sono conoscibili in senso empirico. Tuttavia, hanno una funzione regolativa: servono a guidare la ricerca e a dare coerenza al pensiero.
Kant si confronta con la metafisica in modo innovativo. Aristotele la definiva “filosofia prima”, la disciplina più nobile perché si occupa delle cause ultime della realtà. Anche i razionalisti (come Cartesio e Leibniz) la consideravano un sapere certo, basato sulla pura ragione. Gli empiristi (come Locke e Hume), invece, tendevano a negare la possibilità della metafisica come scienza.
Kant si pone a metà strada: non nega la metafisica in assoluto, ma ne ridefinisce il ruolo. Per lui, la ragione deve autocriticarsi, cioè analizzare se stessa per capire quali sono i suoi limiti e fino a che punto può spingersi. Questo è il senso del suo “progetto critico”: non accettare né la facile soluzione metafisica dei razionalisti né il rigetto totale della metafisica tipico degli empiristi. La domanda di fondo è: cosa possiamo davvero conoscere? La risposta di Kant è chiara: Possiamo conoscere solo ciò che rientra nei limiti dell’esperienza possibile (fenomeni). Non possiamo conoscere ciò che va oltre l’esperienza (noumeno, cioè la realtà in sé). Ciò implica quindi che la conoscenza è limitata. Ma tale limitatezza non ne esclude l’universalità. Infatti, anche se non possiamo conoscere la realtà in sé, la nostra conoscenza dell’esperienza è comunque universale e necessaria, perché si basa sulle categorie dell’intelletto che strutturano il nostro modo di conoscere. La conoscenza umana è quindi limitata, ma al tempo stesso valida per tutto ciò che è esperibile. Kant rifiuta quindi l’approccio dei razionalisti, che cercano certezze assolute nella metafisica, e degli empiristi, che si fermano ai dati sensibili senza riconoscere il ruolo attivo dell’intelletto. Il suo metodo è critico: stabilisce cosa possiamo conoscere e cosa dobbiamo riconoscere come un limite invalicabile.
Kant è però consapevole della complessità della sua indagine e affronta le possibili obiezioni dei lettori, chiarendo ulteriormente il significato della sua "deduzione trascendentale". Il termine deduzione per Kant non ha infatti il significato comune di semplice inferenza logica, ma indica una giustificazione del modo in cui le categorie dell’intelletto si applicano ai fenomeni. Alcuni lettori, però, trovarono oscura la sua spiegazione, soprattutto nella prima edizione della Critica della Ragion Pura (1781). Per questo motivo, nella seconda edizione (1787), Kant rielabora la Deduzione Trascendentale per renderla più chiara e strutturata. Tuttavia, Kant stesso avverte un problema: nell'Analitica Trascendentale, dove distingue tra critiche all’intelletto e analisi dei suoi limiti, si trova a dover giustificare fino a che punto possiamo conoscere il mondo. Qui emerge una difficoltà: cercare di rispondere a questa domanda rischia di ricondurlo a una posizione metafisica, che la sua filosofia critica invece cerca di superare. Ma questa difficoltà non invalida tutto il suo lavoro. Anche se non arriva a una risposta definitiva su certi aspetti della conoscenza, il suo metodo critico rimane valido: la conoscenza è limitata ai fenomeni, ma è universale e necessaria entro questi limiti.
Kant affronta anche un'altra questione: il rischio della troppa chiarezza. Egli sostiene che, se si cerca di essere troppo chiari, si rischia di perdere il vero scopo della ricerca. Questo perché il pensiero filosofico ha una natura complessa e non sempre può essere ridotto a spiegazioni semplicistiche. Per chiarire il ruolo della ragione e della metafisica, Kant utilizza due metafore significative:
- La ragione come tribunale di sé stessa: La ragione deve sottoporsi a un’autocritica, come un tribunale che giudica i propri poteri. La Critica della Ragion Pura è l’inventario delle possibilità della conoscenza umana.
- La metafisica come Ecuba: Ecuba, nella mitologia greca, era la regina di Troia, che dopo la caduta della città finisce in miseria. Kant paragona la metafisica tradizionale a Ecuba: una disciplina un tempo gloriosa, che ora è stata trascurata e ridotta in condizioni misere, soprattutto a causa degli empiristi. Con il tempo si è diffuso un atteggiamento di indifferentismo verso la metafisica, considerata ormai inutile.
Introduzione alla Critica della Ragion Pura
Nell'introduzione della Critica della Ragion Pura, Kant analizza i diversi tipi di giudizio che caratterizzano le filosofie razionaliste ed empiriste, cercando di capire se sia possibile una conoscenza che sia accrescitiva ma allo stesso tempo universale e necessaria. Per fare ciò, Kant analizza i giudizi di razionalisti ed empiristi, dove con giudizio si intende la formalizzazione di ciò che si conosce, un'affermazione in cui un predicato viene attribuito a un soggetto. Secondo Kant, i giudizi sono:- Giudizi analitici a priori (razionalismo): il predicato non aggiunge nulla di nuovo al soggetto, ma si limita a esplicitare ciò che è già contenuto in esso. Sono tautologie (ta, autos = "stesso" e logos = "discorso"), cioè ripetizioni del medesimo concetto. Esempio: "I corpi sono estesi". La nozione di "corpo" implica già l'estensione, quindi il giudizio non apporta nuova conoscenza. i giudizi analitici a priori sono universali e necessari, quindi inconfutabili.
- Giudizi sintetici a posteriori (empirismo): il predicato aggiunge qualcosa di nuovo al soggetto, quindi il giudizio è accrescitivo. Tuttavia, essendo basati sull'esperienza, non sono universali nè necessari. Esempio: "I corpi sono pesanti". Non è un'affermazione valida in ogni caso, perché dipende dall'osservazione e dalle condizioni specifiche.
Kant vuole dimostrare filosoficamente che la scienza si basa su giudizi sintetici a priori. Egli si propone come il Newton della filosofia, cercando di formalizzare e giustificare speculativamente le basi di una conoscenza accrescitiva, universale e necessaria. Secondo Kant, le uniche discipline che soddisfano questi criteri sono la matematica (usa giudizi sintetici a priori, es. "7 + 5 = 12" è un'affermazione accrescitiva, ma è necessaria e universale) e la fisica (le leggi fisiche sono universali e necessarie, ma non si basano solo sull’esperienza. Ad esempio, la legge di gravitazione universale non deriva solo da osservazioni, ma da principi matematici e concettuali). Kant esclude invece la metafisica tradizionale, perché non può formulare giudizi sintetici a priori validi. La metafisica deve quindi essere ridefinita attraverso la critica della ragione.
Estetica Trascendentale
Nell’Estetica trascendentale, Kant si occupa della percezione sensibile e introduce due concetti fondamentali: lo spazio e il tempo. Secondo lui, questi non sono elementi della realtà esterna, ma strutture che appartengono alla nostra mente e che rendono possibile l’esperienza. Non possiamo vedere o sentire nulla se non all’interno di queste coordinate. In altre parole, il nostro modo di percepire il mondo è già organizzato secondo schemi preesistenti, che non dipendono dall’esperienza ma la rendono possibile. Questo significa che tutto ciò che conosciamo è sempre mediato da spazio e tempo, e che non possiamo accedere alla realtà così com’è in sé, ma solo alla realtà così come appare a noi.È qui che Kant introduce una distinzione fondamentale: quella tra fenomeno e noumeno. Il fenomeno è la realtà come la percepiamo, filtrata dalle strutture della nostra mente; il noumeno, invece, è la realtà in sé, indipendente dalla nostra percezione, ma che non possiamo conoscere direttamente. Ciò che esiste, infatti, è una materia informe, che assume poi la forma di fenomeno quando entra in contatto con la struttura spazio-temporale.
In questo modo, non è più il soggetto che si deve adeguare all'oggetto, perchè non esiste alcun fenomeno senza un soggetto che lo colloca nella struttura spazio-temporale. Questa visione si differenzia da empirismo e razionalismo: dal punto di vista razionalista, il soggetto creerebbe il fenomeno, mentre dal punto di vista empirista esso sarebbe già costituito.
Analitica Trascendentale
Dopo aver chiarito le condizioni della percezione sensibile, Kant passa a interrogarsi su come la mente organizzi i dati dell’esperienza. È questo il tema dell’Analitica trascendentale, in cui introduce il ruolo fondamentale dell’intelletto. La nostra mente non si limita a ricevere passivamente le informazioni che provengono dai sensi, ma le elabora attivamente secondo schemi precisi, che Kant chiama categorie dell’intelletto. Tali categorie sono: quantità, qualità, relazione e modalità. Tra di esse non è presente la sostanza: Kan non la prende in considerazione perchè rimanda alla metafisica.Poi, avviene una ricomposizione a livello comcettuale tramite l'Ich denke (io penso), struttura che presiede all'unità concettuale. Il fenomeno considerato corrisponde quindi al concetto quando supera questi passaggi.
L'essere umano non si accontenta però della conoscenza concettuale, ma tende ad universalizzarla nelle idee. Ciò viene affrontato nella Dialettica trascendentale.
Dialettica Trascendentale
La Dialettica Trascendentale è una delle parti fondamentali della Critica della Ragion Pura e rappresenta il momento in cui Kant analizza gli errori della metafisica tradizionale. L'obiettivo di Kant è mostrare come la ragione, se usata oltre i limiti dell’esperienza, cada inevitabilmente in illusioni e contraddizioni.Kant parte da un dato fondamentale: l’uomo tende naturalmente alla metafisica, ovvero cerca risposte ultime su anima, mondo e Dio. Tuttavia, queste domande vanno oltre l’esperienza possibile, e quindi non possono essere trattate scientificamente. La metafisica tradizionale pretendeva di dimostrare verità assolute su questi temi, ma secondo Kant ciò è un errore, perché tenta di applicare le categorie dell’intelletto a qualcosa che non può essere oggetto di esperienza.
Kant distingue tra: Intelletto, che si occupa di fenomeni ed è limitato all’esperienza, e Ragione, che cerca l’incondizionato, ovvero spiegazioni ultime e assolute. La Dialettica Trascendentale mostra come la ragione, quando si avventura al di là dei fenomeni, cada in illusioni gnoseologiche. Queste illusioni derivano da un uso improprio delle idee della ragione, che non possono avere valore conoscitivo.
L'opera viene suddivisa quindi in sezioni, in cui prende in cosniderazioni i tentativi di dimostrazione dell'esistenza di anima, mondo e Dio:
- Psicologia Razionale: Kant confuta la metafisica dell’anima sostenuta dai paralogisti, cioè coloro che credono di poter dimostrare l’esistenza dell’io come sostanza. Secondo la psicologia razionale, l’io penso (il soggetto che pensa) è una realtà sostanziale e immortale. Kant mostra che questa è un’illusione: l’io penso è una funzione dell’intelletto, non una sostanza autonoma. Noi percepiamo l’unità della nostra coscienza, ma non possiamo conoscere l’anima come una realtà separata dal corpo.
- Cosmologia Razionale: Kant analizza il concetto di mondo e mostra che esso porta ad antinomie irrisolvibili. Per esempio: il mondo ha avuto un inizio oppure esiste da sempre? Lo spazio è infinito o finito? Ogni tentativo di risposta porta a contraddizioni, dimostrando che il mondo in sé non può essere oggetto di conoscenza, perché la nostra esperienza è sempre limitata ai fenomeni. Il mondo come "totalità" è un concetto che la nostra mente costruisce, ma che non possiamo verificare empiricamente.
- Teologia Razionale: Kant critica le tre tradizionali prove dell’esistenza di Dio. La prova ontologica (Anselmo d'Aosta, Cartesio) parte dal concetto di Dio come "ente perfettissimo" e conclude che deve esistere. Ma per Kant questo è un errore, perché dal pensiero non si può dedurre l’esistenza, evidenziando il pasaaggio improprio dal pensiero alla realtà. Nella prova cosmologica (Tommaso d'Aquino), invece, si parte dal principio di causa per arrivare a una causa prima , cioè Dio. Ma anche qui c’è un passaggio illegittimo: Kant dimostra che il principio di causalità vale solo nel mondo fenomenico, non per la totalità dell’essere. infine, la prova fisico-teologica (ordine dell’universo) parte dall’armonia del mondo per dedurre un’intelligenza ordinatrice. Kant ammette che questa prova abbia una certa plausibilità, ma non può dimostrare un Dio assoluto, bensì solo un "artefice supremo", il che non è sufficiente per la metafisica religiosa.
CRITICA DELLA RAGION PRATICA
La Critica della Ragion Pratica di Kant è la sua opera fondamentale sulla morale e risponde alla domanda: "Come devo agire?". Se nella Critica della Ragion Pura Kant aveva mostrato i limiti della conoscenza umana, qui si occupa della ragione pratica, ovvero della facoltà che guida l’agire morale.Kant propone una morale autonoma, cioè una morale che non dipende da Dio, dalla felicità o da altre autorità esterne. La legge morale non è qualcosa che viene imposto dall’esterno, ma è un principio che il soggetto trova dentro di sé, nella propria ragione. Questa autonomia, però, non significa soggettivismo: la morale kantiana non è una scelta individuale arbitraria, ma si basa su principi universali e validi per tutti gli esseri razionali.
Kant distingue due tipi di regole morali:
- Massime: sono principi individuali di azione, che ciascuno segue nella propria vita.
- Imperativi: hanno validità universale e obbligano tutti gli esseri razionali.
- Imperativi ipotetici: sono condizionali e legati all’utilità. Esempio: "Se voglio essere rispettato, devo essere onesto".
-
Imperativi categorici: sono assoluti, indipendenti da
qualsiasi scopo, e rappresentano il dovere puro. Es: "Devo
essere onesto, a prescindere dalle conseguenze". L’imperativo
categorico è il principio supremo della morale e Kant lo formula
in diverse versioni:
Agisci in modo che la massima della tua volontà possa valere come legge universale.
Questo significa che un’azione è morale solo se può essere universalizzata, cioè se può valere per tutti gli esseri razionali. Se un’azione non può essere universalizzata, allora è moralmente sbagliata. Kant sprona a trascendere la propria individualità per l'universale dentro di sè.Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona che negli altri, sempre come fine e mai solo come mezzo.
Questo principio afferma che ogni essere umano ha una dignità intrinseca e non può essere usato come strumento. Ogni persona deve essere trattata con rispetto, indipendentemente dalle circostanze, nonostante la difficoltà.Agisci in modo che la tua volontà possa essere fonte di una legislazione universale..
Questo principio sottolinea che la moralità di un’azione non dipende dal risultato, ma dalla volontà di agire secondo il dovere. Anche se l’azione non porta i frutti sperati, se è stata fatta con buone intenzioni e seguendo il dovere, allora è moralmente giusta. L’essere umano deve vedersi come un legislatore morale, capace di autodeterminarsi attraverso la propria ragione.
Emerge quindi un aspetto importante: se le idee metafisiche (Dio, anima, mondo) che nella Critica della Ragion Pura erano illusioni gnoseologiche, in ambito morale diventano postulati della ragion pratica. Un postulato non è dimostrabile, ma è necessario per dare coerenza alla morale. Kant elenca tre postulati fondamentali:
- Libertà (il più importante): se non fossimo liberi, non potremmo agire moralmente. La libertà è la condizione necessaria della morale.
- Immortalità dell’anima: la morale richiede una tensione infinita verso la perfezione. Ma nella vita umana questa perfezione è irraggiungibile, quindi deve esistere una vita dopo la morte.
- Esistenza di Dio: la morale richiede che alla virtù corrisponda la felicità. Dato che questo non accade nella vita terrena, deve esserci un Dio che garantisca una giustizia ultima.
CRITICA DEL GIUDIZIO
La Critica del giudizio (1790) è la terza delle opere critiche di Immanuel Kant e rappresenta un ponte tra la Critica della ragion pura e la Critica della ragion pratica. In questo testo, Kant indaga il potere del giudizio, ossia la facoltà che media tra il dominio della natura e quello della libertà. L’opera si divide in due parti principali: l’estetica, che analizza il giudizio sul bello e sul sublime, e la teleologia, che esplora il concetto di finalità nella natura. La Critica del giudizio è fondamentale per comprendere il pensiero kantiano sull’arte, sulla natura e sulla soggettività dell’esperienza estetica, rispondendo alla domanda "che cosa posso sperare?".La traduzione italiana del titolo dell’opera di Kant sarebbe in realtà "forza giudicante" (derivante da Urteilskraft), che, secondo Kant è il risultato di una precisa facoltà: il sentimento, posto tra intelletto e ragione. Kant torna quindi sulla mappa delle facoltà umane, perchè se da un lato l'intelletto ci permette di conoscere la realtà, dal punto di vista morale l'uomo deve combattere il condizionamento dell'esperienza. L'uomo kantiano è quindi tragico, poichè deve costantemente combatterecon sè stesso. Un "conflitto irrisolvibile", come sarà poi definito da Goethe.
Kant si occupa quindi della speranza, ovvero una espressione del potere giudicante dell'uomo che a sua volta discende dal sentimento, posto in mezzo tra intelletto, facoltà gnoseologica rispettto all'esperienza, e ragione, facoltà gnoseologica delle idee. Il sentimento è quindi posto in mezzo tra Noumeno e Fenomeno, ed ha il compito di conciliare queste due esigenze.
Kant ritorna quindi sui giudizi, facedo una nuova distizione:
- Giudizi determinanti: sono giudizi che si basano su concetti e regole già dati, su conoscenze pregresse, e che permettono di classificare la realtà in base a categorie già note. Essi determinano trascendentalmente l'oggetto della conoscenza.
-
Giudizi riflettenti: sono giudizi che non si basano su
concetti predefiniti, ma che cercano di dare senso a qualcosa di
nuovo. Essi riflettono sulla realtà già determinata la
speranza che essa abbia senso per l'uomo, che tale ordine lo
privilegi. I giudizi riflettenti sono a loro volta distinti in:
-
Giudizi riflettenti estetici: non estetica nel senso
di sensazione, ma come scienza del bello. Attraverso
i giudizi estetici l'uomo riflette sulla natura la sua
speranza di bellezza. Il bello rapprenta ciò che è
senza concetto (non siamo in ambio gnoseologico, è una
speranza, non una conoscenza), senza scopo (non è una
condizione morale, è bello in maniera autosufficiente) e
universale (non è una sensazione soggettiva, va al di là del
gusto personale). In questa prospettiva, Kant definisce il
Bello naturale, espressione che rappresenta
momentaneamente questa nostra speranza. Per esempio, di
fronte ad un tramonto si ha l'esperienza di bello, che non
deriva dalla natura , ma dal giudizio riflettente dell'uomo
che proietta la sua speranza su quell'esperienza.
Il bello è quindi espressione della forza giudicante , un'esperienza spirituale che si differenza dal semplice piacevole, che è più individuale, legato ai sensi. Di fronte al fenomeno bello, l'uomo rappresenta sè stesso come un individuo che in quel momento si sente conciliato con il mondo. Ma la natura offre anche il sublime, una categoria estetica che rappresenta l'esperienza provata di fronte a manifestazioni grandiose e dinamiche della natura. Kant distingue tra sublime matematico e sublime dinamico: il primo è legato alla grandezza e alla grandiosità del fenomeno rispetto all'uomo, mentre il secondo riguarda una manifestazione grandosa e violenta. - Giudizi riflettenti teleologici: sono giudizi che riflettono sulla natura il fatto che essa abbia un senso per l'uomo. Sono interessanti perchè Kant smonta tutte le prove cosmologiche a posteriori, ma quì riprende il concetto di ordine del mondo. Questo rispecchiamento ha un valore euristico (da eurisko, "trovare"), poichè favorisce la ricerca, spingendo a studiare la natura (Kant si riferisce agli studi sul corpo umano, incrementati da questa tensione euristico-teologica).
-
Giudizi riflettenti estetici: non estetica nel senso
di sensazione, ma come scienza del bello. Attraverso
i giudizi estetici l'uomo riflette sulla natura la sua
speranza di bellezza. Il bello rapprenta ciò che è
senza concetto (non siamo in ambio gnoseologico, è una
speranza, non una conoscenza), senza scopo (non è una
condizione morale, è bello in maniera autosufficiente) e
universale (non è una sensazione soggettiva, va al di là del
gusto personale). In questa prospettiva, Kant definisce il
Bello naturale, espressione che rappresenta
momentaneamente questa nostra speranza. Per esempio, di
fronte ad un tramonto si ha l'esperienza di bello, che non
deriva dalla natura , ma dal giudizio riflettente dell'uomo
che proietta la sua speranza su quell'esperienza.