Neoaristotelismo Rinascimentale

Periodo: XV - XVII Secolo

Pietro Pomponazzi

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Il Neo-Aristotelismo Rinascimentale è una corrente filosofica che nasce all'interno della più ampia riscoperta del pensiero antico, caratteristica dell'Umanesimo e del Rinascimento. A differenza del Neoplatonismo, che si sviluppò soprattutto a Firenze attorno alla figura di Marsilio Ficino, il Neo-Aristotelismo trovò il suo centro principale a Padova, dove Pietro Pomponazzi fu uno dei più importanti esponenti.
Il recupero di Aristotele in questa fase avviene attraverso una rigorosa analisi filologica, ovvero un’attenta ricostruzione dei testi originali per comprendere il significato autentico del pensiero aristotelico. Uno dei testi fondamentali oggetto di studio è il Peri Psychēs (in latino De Anima), in cui Aristotele indaga la natura dell’anima.

PIETRO POMPONAZZI

Pietro Pomponazzi (1462-1525) fu uno dei maggiori interpreti di Aristotele nel Rinascimento. Egli si concentrò sullo studio del De Anima, testo in cui Aristotele definisce l’anima come la forma del corpo, ovvero il principio che dà vita e organizzazione alla materia vivente.
Tuttavia, se l’anima è legata al corpo e ne è la forma, cosa succede dopo la morte? Secondo una lettura rigorosamente aristotelica, l’anima, essendo legata indissolubilmente al corpo, non potrebbe sopravvivere alla sua dissoluzione. Questo porta alla conclusione che l’anima è mortale.
Tale posizione, però, entrava in conflitto con la dottrina cristiana, secondo cui l’anima è immortale e sopravvive alla morte del corpo per affrontare il giudizio divino. Questo problema era già stato affrontato da San Tommaso d'Aquino, che, pur accogliendo la definizione aristotelica dell’anima come forma del corpo, sosteneva che essa avesse una natura spirituale e indipendente, il che garantiva la sua immortalità.
Pomponazzi, invece, propone una soluzione più complessa. Dal punto di vista filosofico, basandosi esclusivamente su Aristotele, l’anima appare mortale.Tuttavia, dal punto di vista teologico la fede cristiana insegna che l’anima è immortale. Questa distinzione porta alla teoria della "doppia verità", secondo cui la filosofia e la teologia appartengono a due ambiti separati:
  • La filosofia cerca la verità attraverso la ragione e l'esperienza, e giunge alla conclusione che l’anima potrebbe essere mortale.
  • La teologia, fondata sulla rivelazione divina, insegna l’immortalità dell’anima, che può essere accettata come atto di fede.
Pomponazzi non nega la fede cristiana, ma sottolinea la necessità di mantenere una distinzione tra ragione e fede, evitando che la filosofia si occupi di questioni che appartengono esclusivamente alla religione.

Le Reazioni e la Condanna dell’Inquisizione

Questa posizione fu considerata pericolosa dalle autorità ecclesiastiche, perché sembrava mettere in discussione la dottrina cristiana. Infatti, sostenere che l’immortalità dell’anima non fosse dimostrabile razionalmente poteva indurre molti a dubitare della fede.
Le idee di Pomponazzi suscitarono grandi controversie, e i suoi libri furono bruciati pubblicamente a Padova dall’Inquisizione. Tuttavia, egli evitò la condanna personale dichiarando che si limitava a interpretare Aristotele senza voler mettere in discussione la fede cristiana.
In realtà, il problema dell’immortalità dell’anima era già stato discusso dai filosofi arabi medievali, come Averroè, il quale sosteneva che l’intelletto individuale fosse mortale, mentre l’intelletto universale (l’Intelletto Agente) fosse eterno e condiviso da tutti gli uomini.
Pomponazzi riprende in parte questa idea, affermando che l’immortalità dell’anima è una possibilità, ma non una certezza filosofica. Egli, infatti, non esclude la possibilità che l’anima sopravviva dopo la morte, ma afferma che questa non può essere dimostrata con la sola ragione.


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