SCUOLA DI MILETO

Talete, Anassimene ed Anassimandro

Left Image

La scuola di Mileto, nota anche come Scuola di Filosofia Antica, fu un'importante corrente filosofica sviluppatasi nella città di Mileto, in Asia Minore, nel VI secolo a.C. I suoi tre principali esponenti – Talete, Anassimene e Anassimandro – rappresentano le prime manifestazioni del pensiero filosofico documentate nella storia. Secondo alcune testimonianze, pare che questi tre filosofi fossero in contatto tra loro: Anassimandro sarebbe stato allievo di Anassimene, il quale, a sua volta, avrebbe appreso da Talete. Un elemento centrale della scuola di Mileto è l'eziologia, ossia la riflessione sulle cause fondamentali. In particolare, ciascun filosofo si interrogò sull'archè, ovvero il principio primo o la causa originaria della physis (la natura). L'archè, intesa non come una semplice causa derivata ma come l'origine ultima e autosufficiente, fu identificata da ognuno di loro in un elemento diverso. Talete individuò l'archè nell'acqua, osservando che la vita dipende dalla sua presenza e che essa appare essenziale per l'esistenza di tutti gli esseri viventi. Anassimene, invece, ritenne che il principio fosse l'aria, poiché notò come i fenomeni di condensazione e rarefazione dell'aria potessero dar luogo rispettivamente ad acqua e fuoco, dimostrando così la sua capacità di trasformarsi. Anassimandro propose una concezione più astratta: il principio originario sarebbe stato l’Apeiron, un termine greco (ἄπειρον) che significa “infinito” o “indeterminato”. La parola è composta dalla radice "peiron", che indica un limite, e dalla “a” privativa, che ne nega l’esistenza.
L’Apeiron, per Anassimandro, era l’indefinito e l’infinito, una sostanza eterna e illimitata, da cui ogni cosa trae origine e a cui, inevitabilmente, fa ritorno. È significativo notare che il primo frammento scritto di filosofia che ci è pervenuto proviene proprio da Anassimandro. Ma cosa si intende esattamente con il termine Apeiron, e quali sono le difficoltà che i filosofi incontrarono nel riflettere sull’archè?
L’Apeiron pone interrogativi profondi sul rapporto tra ciò che è concreto e tangibile e ciò che è astratto e indefinito. La sfida principale consisteva nell’immaginare e descrivere un principio originario che, pur essendo invisibile e impalpabile, fosse in grado di generare l’intera realtà. Le risposte dei pensatori milesi segnano il primo tentativo di spiegare il mondo non attraverso il mito, ma con la ragione, ponendo le basi per lo sviluppo del pensiero filosofico occidentale.

APEIRON

Archè degli enti è l'Apeiron, da cui essi traggono origine e a cui fanno ritorno, secondo necessità.
Questo è il fulcro del pensiero di Anassimandro, che prosegue così nel suo scritto:
Essi infatti pagano l’un l’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo.
Analizziamo nel dettaglio il significato di queste affermazioni.
Con il termine archè si indica il principio originario, ma per Anassimandro esso non è qualcosa di determinato o tangibile: la causa prima di tutti gli “enti” – ovvero tutto ciò che è definito e concreto, ciò che è determinato – è invece indeterminata. Questo concetto si radica nella concezione greca secondo cui non esiste una creazione dal nulla: l’essere è eterno e non ha mai avuto né avrà fine. L’Apeiron, quindi, non può essere descritto positivamente; può essere definito solo attraverso ciò che non è, un approccio noto come apofatico.
Questa indeterminatezza si spiega con la convinzione che la conoscenza sia proporzionale alla natura dell’oggetto conosciuto. Poiché gli enti determinati non possono comprendere pienamente ciò che è indeterminato, essi lo descrivono in termini negativi. L’Apeiron, pertanto, sfugge a una comprensione diretta ed è percepito come ciò che trascende ogni limite.
Il pensiero di Anassimandro, però, non si limita alla metafisica; il suo discorso si estende anche alla sfera etica. La separazione degli enti dall’Apeiron è vista come un atto che genera una sorta di colpa ontologica. Questo concetto richiama, per certi aspetti, l’idea del Karma: nel momento in cui gli enti emergono dall’Apeiron, si verifica un’originaria ingiustizia, un dolore intrinseco al distacco. Gli enti, dimenticando la loro comune origine, entrano in conflitto tra loro, vivendo spesso a scapito l’uno dell’altro. Questa condizione di discordia e ingiustizia è destinata a trovare il suo compimento nella morte, momento in cui gli enti si dissolvono e fanno ritorno all’Apeiron, espiano le loro colpe e ristabiliscono l’ordine.
Tuttavia, parlare di “morte” in senso definitivo è improprio: per Anassimandro, non si tratta della fine dell’esistenza, ma di una tappa all’interno di un processo ciclico e infinito. L’Apeiron stesso incarna questa ciclicità, contrapposta alle risposte di Talete e Anassimene, che cercavano l’archè in elementi naturali osservabili, come l’acqua o l’aria. Anassimandro, invece, introduce una visione più astratta e universale, in cui il principio originario è non solo infinito nel tempo, ma anche nel suo significato, costituendo il substrato eterno e illimitato da cui tutto proviene e a cui tutto ritorna.

SIGNIFICATO ETICO

Come già evidenziato, il pensiero di Anassimandro possiede una forte connotazione etica. Se gli enti, per loro stessa natura, sono destinati a vivere in conflitto, quale strada possono intraprendere per mitigare questa condizione inevitabile?
Anassimandro sembra indicare due vie principali per attenuare le ingiustizie che scaturiscono dall’interazione tra gli enti: una via verticale e una via orizzontale.
  • La via verticale è rappresentata da un approccio religioso o spirituale, in cui l’individuo si concentra sul proprio percorso interiore e sulla riconciliazione personale con l’Apeiron.
  • La via orizzontale, invece, si esprime attraverso la politica e la vita in comunità, dove la consapevolezza dell’origine comune degli enti guida le relazioni con gli altri. In questa prospettiva, riconoscere il prossimo come un essere vivente a noi simile, dotato della stessa origine e natura, favorisce comportamenti di rispetto e cooperazione. Al contrario, percepire l’altro come un ente inferiore o estraneo porta inevitabilmente al conflitto.
Anassimandro sottolinea che, nonostante il conflitto sia una conseguenza naturale dell’interazione tra gli enti, ogni individuo conserva la capacità di scegliere come affrontarlo. La necessità a cui fa riferimento nel suo scritto (“secondo necessità”), infatti, non implica la perdita della libertà individuale. La necessità stabilisce che certe condizioni fondamentali – come la separazione dagli altri enti e il ritorno all’Apeiron – sono inevitabili; esse riflettono il modo in cui è il mondo e non possono essere evitate. Tuttavia, ciò non significa che siamo privati del potere di scegliere come relazionarci a queste condizioni.
Non possiamo cambiare il fatto che il conflitto esista, perché fa parte della natura stessa dell’essere. Ma possiamo decidere come rapportarci a esso: con consapevolezza e armonia, riducendo la tensione e promuovendo il rispetto reciproco, oppure alimentandolo attraverso comportamenti che negano l’unità originaria degli enti. In questa libertà di scelta risiede il potenziale per trasformare un’esistenza inevitabilmente segnata dal conflitto in un percorso di crescita etica e spirituale.


Right Image