
Socrate è una delle figure più emblematiche e complesse della filosofia occidentale. Spesso descritto come un “interrogativo vivente”, egli non ha lasciato nulla di scritto, poiché riteneva che la filosofia fosse un’attività dialogica tra persone viventi. Per Socrate, la scrittura rappresentava una negazione della filosofia, un supporto statico incapace di replicare il dinamismo del confronto diretto. La sua vita e il suo pensiero ci sono noti attraverso le opere di altri autori, che ne hanno tramandato immagini molto diverse e a volte contrastanti.
LE FONTI SU SOCRATE
Le principali fonti su Socrate sono:- Aristofane: Commediografo greco, presenta Socrate nella commedia Le Nuvole come un sofista che parla del nulla e usa l’arte della persuasione per vincere ogni discussione. In questa rappresentazione caricaturale, Socrate è un personaggio grottesco e lontano dall’immagine di moralista e filosofo che abbiamo grazie ad altre fonti.
- Senofonte: Nelle sue opere, tra cui I Memorabili, Senofonte descrive Socrate come un maestro di virtù e moralità, un uomo dedito a dare consigli pratici e morali su come vivere una vita giusta. La sua immagine di Socrate è meno filosofica e più pragmatica rispetto a quella di Platone.
- Platone: Allievo di Socrate, Platone lo rende protagonista dei suoi dialoghi, in cui il maestro interroga e guida i suoi interlocutori verso la conoscenza. Tuttavia, è difficile distinguere con certezza il pensiero di Socrate da quello di Platone, soprattutto nei dialoghi della maturità, dove emerge la teoria delle idee, che Aristotele attribuisce esclusivamente a Platone.
- Aristotele: Filosofo sistematico e allievo di Platone, Aristotele afferma che Socrate non aveva una dottrina basata sulle idee. Socrate si limitava a cercare definizioni universali e non giungeva mai a risposte definitive, a differenza di Platone, che considerava le idee come le risposte ultime.
FILOSOFIA
L’attività filosofica di Socrate si concentra sull’etica e sulla politica, con un’attenzione particolare al comportamento umano e al significato della virtù. Non si occupa di ontologia o di questioni metafisiche, ma della ricerca di una vita buona e giusta. Socrate dialoga con i cittadini di Atene, spingendoli a riflettere su concetti universali come la giustizia, il coraggio e la sapienza.Il suo metodo, noto come maieutica, consiste nel porre domande per far emergere la verità già presente nell’interlocutore. Questo approccio si basa sull’idea che la conoscenza non possa essere imposta dall’esterno, ma debba essere scoperta attraverso un processo di autoesame. La domanda fondamentale che guida Socrate è il ti esti (“che cos’è?”), con cui egli cerca definizioni universali piuttosto che esempi particolari.
MORTE
Socrate fu processato e condannato a morte nel 399 a.C., con l’accusa di corrompere i giovani e di non rispettare gli dèi della città. Questo avvenne in un periodo di instabilità politica ad Atene, dopo la caduta del regime oligarchico dei Trenta Tiranni e il ristabilimento della democrazia.Platone racconta il processo nell’Apologia di Socrate, l'unica sua opera non dialogica in cui Socrate difende la sua filosofia e la sua missione. Egli non si ritiene colpevole, poiché la sua attività è motivata dall’oracolo di Delfi, che lo aveva proclamato il più sapiente tra gli uomini. Socrate interpreta questo responso in modo ironico, sostenendo che la sua sapienza deriva dal sapere di non sapere.
Nell’Apologia, Socrate si rifiuta di rinnegare la sua filosofia e accetta la condanna a morte come un atto di coerenza. La sua morte, descritta nel Fedone, avviene con il suicidio tramite cicuta, un sacrificio che lo rende un simbolo dell’integrità filosofica.
RACCONTO DEL PHEDONE
Nel Fedone, Platone racconta il momento finale della vita di Socrate, ambientato nella prigione dove il filosofo, condannato a morte, attende di bere la cicuta, un veleno mortale. Questo passo è particolarmente significativo perché illustra il pensiero socratico sulla vita, sulla morte e sul significato della conoscenza di sé.Gli allievi di Socrate, riuniti attorno a lui, chiedono indicazioni su come comportarsi dopo la sua morte. Socrate risponde che la cosa più importante è prendersi cura di sé stessi. Questa cura, secondo Socrate, deriva dalla conoscenza di sé: "Conosci te stesso" è il fondamento di una vita virtuosa.
Conoscere se stessi significa essere consapevoli della propria natura e delle proprie emozioni, e riuscire a governarle. Chi riesce a governare sé stesso è in grado di prendersi cura della propria anima (psyché) e, per estensione, anche degli altri. In questa prospettiva, l’autogoverno diventa la base per il buon governo della comunità. La saggezza e la virtù sono possibili solo se si vive in armonia con il proprio essere interiore.
Socrate introduce una distinzione ontologica fondamentale tra soma (il corpo) e psyché (l’anima). Il corpo è mortale e rappresenta un ostacolo alla conoscenza: è la fonte dei desideri, delle passioni e delle distrazioni che distolgono l’uomo dalla ricerca della verità.
L’anima, invece, è immortale e libera: attraverso la morte, essa si libera dei vincoli corporei e può dedicarsi pienamente alla sapienza.
Socrate accoglie la morte come una liberazione, poiché crede nella metempsicosi, la trasmigrazione delle anime, secondo cui l’anima sopravvive alla morte del corpo e si reincarna in un nuovo essere vivente. Questo consolida la sua serenità di fronte alla fine, che considera non come una perdita, ma come un passaggio necessario per raggiungere la vera conoscenza.
Durante questo momento drammatico, gli allievi di Socrate si lasciano andare al pianto, ma il filosofo li riprende. Egli considera il pianto una mancanza di rispetto per lui e per i suoi insegnamenti. La vergogna (aidos), secondo Socrate, è una virtù importante: chi prova vergogna è capace di rispettare sé stesso e gli altri. Gli allievi, piangendo, dimostrano di non aver ancora interiorizzato pienamente il messaggio del maestro, che ha insegnato loro che la morte non è da temere, ma da accogliere come una necessità naturale.
Tra le ultime parole di Socrate spicca la frase enigmatica: “Dobbiamo un gallo ad Asclepio”. Asclepio è il dio della medicina, e questa affermazione è carica di significato simbolico. La frase può essere interpretata come un ringraziamento al dio per averlo guarito dalla vita terrena, considerata una malattia per l’anima. La morte, in questa visione, è una cura che libera l’anima dai limiti del corpo. Inoltre, Socrate dimostra di rispettare le divinità, confutando le accuse di empietà mosse contro di lui durante il processo. Volendo saldare un debito simbolico con il dio, il filosofo conferma la sua fedeltà ai principi religiosi.
Socrate difende quindi la sua integrità etica affermando di aver sempre agito in obbedienza al suo daimon, un equilibrio interiore che lo guidava nelle sue scelte. Nonostante le pressioni durante il processo, Socrate rifiuta di ammettere di aver corrotto i giovani o di aver disprezzato gli dèi, poiché la sua vita è stata dedicata alla ricerca della verità e alla pratica del bene.
IL DIALOGO SOCRATICO
Socrate attribuisce al dialogo un’importanza fondamentale, concependolo come il mezzo privilegiato per la ricerca della verità. Il termine dialogo (διάλογος, "ragionare insieme") indica una ricerca collettiva, un confronto paritario tra interlocutori. Socrate non si pone mai come maestro che impartisce conoscenze, ma adotta un atteggiamento di parità con il suo interlocutore, sostenendo la propria ignoranza (dichiarazione di ignoranza). Questo implica che il sapere non può essere acquisito da soli, ma nasce dalla condivisione e dal confronto con gli altri.Un altro elemento essenziale del dialogo socratico è l’ironia. Il termine (εἰρωνεία, "dissimulazione") si distingue dalla bugia: mentre il bugiardo nasconde ciò che è, chi dissimula non rivela immediatamente la propria identità o intenzione, ma lo fa emergere indirettamente attraverso le proprie azioni e parole.
Socrate usa la dissimulazione come strumento per destabilizzare le certezze del suo interlocutore, ponendosi in modo umile ma conducendo il dialogo verso una riflessione più profonda. Questo atteggiamento ironico è una strategia pedagogica per stimolare la consapevolezza del falso sapere.
Nel dialogo, Socrate adotta inoltre un linguaggio brachilogico (βραχύς, "breve"), caratterizzato da frasi concise e dirette. Questa scelta lo distingue dai sofisti, che erano soliti fare lunghi discorsi elaborati. Il linguaggio brachilogico di Socrate riflette la sua attenzione all’essenza dei concetti, evitando inutili prolissità.
Infine, il dialogo socratico è guidato da un approccio induttivo. Socrate parte da una domanda universale, come ad esempio: "Τί ἐστιν" ("Che cos’è?"), per poi esplorare attraverso esempi particolari e progressivi. Questo metodo permette di avvicinarsi gradualmente a una definizione più ampia e condivisa. Un esempio di domanda è quella riguardante il sapere.
LA VIRTÙ E LA MAIEUTICA
Per Socrate, il sapere è strettamente legato alla virtù. La virtù (ἀρετή, "eccellenza") per Socrate consiste nell’esercitare al meglio la propria specificità. Nel caso dell’uomo, questa specificità è la ragione. Essere virtuosi, quindi, significa utilizzare la ragione per governare se stessi, riconoscendo e correggendo i propri limiti.Platone attribuisce poi a Socrate un’arte maieutica (μαιευτική, "delle ostetriche"), paragonabile al lavoro delle levatrici.
La maieutica socratica si divide in due fasi:
- Distruzione delle false certezze: Socrate aiuta gli interlocutori a smantellare le proprie convinzioni errate o superficiali, mettendone in luce le contraddizioni.
- Stimolo alla riflessione: Una volta eliminate le certezze illusorie, Socrate guida l’interlocutore a trovare dentro di sé nuove verità, favorendo un pensiero autonomo e profondo.
